ISTAO The time is now_premia una nostra fotografa!

Ritratto di Louise_Rinascimento  ©Matilde PiazziMatilde Piazzi è la vincitrice della categoria Fotografia con “Ritratto di Louise”:

Il concorso, organizzato dall’ISTAO, Istituto Adriano Olivetti di Ancona vuole raccogliere rappresentazioni e testimonianze, in qualsiasi forma artistica che raccontino la vitalità, la forza, i desideri, le ambizioni e le spinte interiori che caratterizzano le nuove generazioni e che possono costituire dei reali agenti di cambiamento e di sviluppo. Adriano Olivetti, analizzando il momento storico che l’Italia si trova a vivere a metà degli anni 50, scrive che “il rinnovamento può dirsi in cammino per i vari segni che le forze dei giovani ci indicano riempiendoci di speranza”. Anche i nostri giorni coincidono con un momento di cambiamento cruciale e oggi più che mai è necessario che le energie dei giovani intervengano nel processo di sviluppo della società e dell’economia italiane, offrendo un contributo decisivo in termini di rinnovamento.L’Istituto Adriano Olivetti ha scelto di raccogliere le testimonianze in forma di elaborati artistici per ribadire il valore della cultura e delle sue manifestazioni individuali, anche in un ambito come quello socio-economico, secondo l’idea per cui la cultura ha una “virtù rivoluzionaria che dà all’uomo il suo vero potere e la sua vera espressione”.

Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli_Al bordo della strada

 

OLYMPUS DIGITAL CAMERAStrada statale 9 – Via Emilia: Idice, San Lazzaro di Savena (Bologna), 2011

 

05_Emilia_lowStrada statale 9 – Via Emilia: Borgo Panigale (Bologna), 2011

 

08_Emilia_lowStrada statale 9 – Via Emilia: Ozzano dell’Emilia (Bologna), 2011

Allora c’erano dei libri che si chiamavano Sulla strada di Kerouac. Che erano bellissimi, tutti a fare l’autostop. Era molto bello in italiano, però con i nomi americani: Quella sera partimmo John, Dean e io sulla vecchia Pontiac del ‘55 del babbo di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson. Porc… E poi lo traduci in italiano: Quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago. Non è la stessa cosa, gli americani ci fregano con la lingua”.

Statale 17. Questo era il suo incipit nel live con i Nomadi del 1979. Ma anche Tra la via Emilia e il West. Vecchi titoli di Guccini continuano a tornarmi in mente mentre guardo le immagini del progetto Al bordo della strada. <foto e grafie>. Un fotografo e un narratore, Matteo Sauli e Vittorio Ferorelli, hanno percorso “eludendo ogni obbligo di velocità” l’intero tracciato da Piacenza a Rimini di questa via antica e sempre attuale. Ma il loro non è un blues, non c’è Dylan alle spalle, no, qui c’è qualcosa di elettronico, come delle campionature di rumori quotidiani intervallate da silenzi. Parole e fotografie delineano apparizioni di immagini senza una storia evidente, senza attese, senza una meta, neppure una distante, utopica, idealizzata.

Spesso sono residui, quelli che appaiono al margine della strada: ex fabbriche, ex discoteche, ex capannoni, ex negozi, ex oratori… potrebbe essere una frontiera, un nuovo West, ma non sembra che ci sia più nulla da conquistare, non nuove terre da coltivare, costruire, fabbricare. No, questa non è la terra del “possibile”, dello slancio ottimistico degli anni Sessanta. Questi sono i resti di una “civiltà” perduta, una civiltà del lavoro, in cui gli operai lavoravano e si riunivano per rivendicare propri diritti, e grazie a queste conquiste potevano dare ai figli più tempo del loro, il tempo anche per passare il pomeriggio all’oratorio a giocare a pallone e, quelli più grandi, la sera in discoteca o in locali più o meno equivoci, spesso a pochi passi dalle fabbriche.

A guardarle bene queste tracce sono proprio quelle del mondo degli anni Sessanta, quello del boom, quello in cui le autostrade non erano mica tante e si faceva ancora la Statale 9 in su e in giù, per lavoro, per divertimento.

Una statale antica, la numero 9. Lì da millenni, quando non c’era neanche lo “stato” che conosciamo ma una ben altra repubblica, divenuta poi impero. Ce ne accorgiamo ancora quando, dentro i centri storici, la strada cambia nome e ritrova una pavimentazione precedente all’asfalto.

Il viaggio di Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli inizia a Piacenza, sul Po, dove il crollo del ponte, qualche anno fa, ha determinato una cesura disagevole ma evocativa: il Po di nuovo frontiera, invalicabile se non con un lungo viaggio verso un altro guado. È lì che i due viaggiatori fanno il primo incontro con gli “abitanti” della SS9, poche persone, va detto, ma con qualità assolutamente peculiari. Il testo di Ferorelli si apre con l’immagine degli “amici del Po”, un gruppo di anziani che giocano a carte, guardano il fiume, sorridono con occhi vivaci e pelle abbronzata mentre aspettano di pescare. Ma forse non pescheranno mai, l’essenza del loro stare lì è molto più sottile e priva di fini.

Le sue parole descrivono quello che gli occhi incontrano – strutture, scritte, manifesti, oggetti – senza evidente giudizio, lasciando scorrere la strada, le sue tracce e le sue apparizioni: ma già la scelta di descrivere un incontro piuttosto che un altro definisce la linea del suo sguardo, che isola quello che vede, gli dà luce anche se giace nella polvere. Ai testi sono unite saldamente le fotografie di Sauli, che invece colgono elementi stranianti, spesso ironici: un immenso ciao nei campi, gli occhi di Diabolik tra i cespugli. Nel libro tascabile che raccoglie il viaggio per intero (Al bordo della strada. Diario di viaggio sulla Statale 9 – Via Emilia, Bologna, Bononia University Press, 2012) il percorso si chiude con l’immagine su cui campeggia la scritta “concordia” a Ponte Gambino, su un muro dove porte e finestre sono chiuse, e potrebbe essere da decenni; nella doppia pagina successiva due cani di gesso si danno le spalle, a Faenza, forse guardiani immobili di una statale che diamo un po’ per scontata, come capita di dare per scontata la propria spina dorsale.

Elena Pirazzoli

Vittorio Ferorelli e Matteo Sauli_Al bordo della strada

Vittorio Ferorelli, giornalista e scrittore, nato nel 1971, lavora all’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna dal 1997. Caporedattore della rivista “IBC. Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali”, ha contribuito alla cura di quattro volumi, passando dalla cinematografia (“Federico Fellini autore di testi. Dal Marc’Aurelio a Luci del Varietà”) alla museografia (La coda della gatta. Scritti di Ettore Guatelli: il suo museo, i suoi racconti”), e mettendo insieme una silloge di articoli giornalistici (“Ma questa è un’altra storia. Voci, vicende e territori della cultura in Emilia-Romagna”) e una raccolta di interviste (“Una parola dopo l’altra. Interviste e conversazioni sulle pagine di IBC”). Nel 2010 ha vinto il premio “Navile – Città di Bologna” per la narrativa illustrata con “Il vicino”, un racconto illustrato dalle fotografie di Marco Pizzoli. Nel 2012, insieme al fotografo Matteo Sauli, ha pubblicato il libro tascabile “Al bordo della strada. Diario di viaggio sulla statale 9 – via Emilia”.

Matteo Sauli nasce a Ravenna il 15 marzo 1982. Si avvicina alla fotografia seguendo il padre Roberto, fotografo naturalista; visita esposizioni fotografiche, comincia ad interessarsi alle attrezzature e strumentazioni, si documenta sulle opere e le biografie dei grandi fotografi: Lee Friedlander, Luigi Ghirri, Don McCullin, Attiglio Gigli, Garry Winogrand, ecc. Frequenta il corso di fotografia all’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Per alcuni anni si dedica alla “camera oscura”, sperimentando carte fotografiche di ogni tipo e dimensione, acidi per il loro trattamento e per lo sviluppo dei negativi di ogni tipo e formato. Le fotocamere che usa vanno dal formato “Leica” al 20x25cm passando anche attraverso esperienze creative con il Polaroid. Perfeziona la tecnica di ripresa, sviluppo e stampa presso fotografi professionisti come Daniele Casadio e Ettore Malanca. Realizza “SS309” e “Bagnanti”; il primo è un viaggio fotografico lungo la strada Romea, tra Ravenna e Venezia, il secondo è una ricerca fotografica sul turismo estivo nella riviera adriatica. Collabora con l’Istituto per i Beni Artistici Culturali della Regione Emilia Romagna (IBC), per il quale realizza progetti come “L’altra mostra”, una serie di fotografie sul dietro le quinte della grande mostra “Garofalo. Pittore della Ferrara estense” e partecipa alla campagna fotografica “Ritornando sull’Appennino”. Espone le sue opere in gallerie tra cui la Fondazione Forma per la fotografia di Milano. Nel 2013 realizza il suo primo libro d’artista intitolato “Quando Eravamo Re” pubblicato dall’editore Danilo Montanari.

Paolo Gobbi_Tracciati

Serraglio Olio e matita su tela 50x50cm senza titolo tec. mista su cartone 40x80 cm

La ricerca artistica di Paolo Gobbi, puntuale e coerente nel corso di un trentennio, di recente ha reso più marcata la costante che nutre la sua poetica: la dialettica presenza/assenza. L’artista ha infatti progressivamente scarnificato e azzerato la potenza espressiva e assoluta del colore, cui aveva affidato le opere delle precedenti stagioni dove la monocromia dell’impasto e la stesura compatta delle superfici rendevano palese l’evocazione dell’assenza, del vuoto, per aprire un varco alla presenza. Una presenza ora statica e ingombrante, ora discreta, talvolta addirittura impercettibile, ma comunque in grado di ingaggiare una contesa dialettica, il motivo a cui consegna l’architettonica del quadro. E’ così che prende corpo lo spazio della pittura, costruito centellinando istante per istante, giorno dopo giorno, raffinate e dotte pratiche che coniugano l’artificio composto del colore in tensione verso il vuoto con quello indomito del segno che segna una presenza. Cosicché la spazialità oggi emergente dai suoi lavori è profonda e intrigante, dove l’interno si confonde con l’esterno, lo psichico con il geometrico, uno spazio astratto ma ad alto gradiente di tattilità, per lo più abitato da elementi grafici gracili e volatili che intrecciano sottili tracciati vibranti di tensione emotiva.

D’altra parte forte è sempre stato nell’artista settempedano il desiderio di attingere i segreti della pittura per penetrare nel cuore della figurazione creatrice di mondi che solo in essa vengono per la prima volta all’esistenza grazie alla forza espressiva del linguaggio visivo. Già ampiamente sdoganato da Konrad Fiedler che negli Schriften über Kunst (1876) gli riconosceva prerogative analoghe a quelle del linguaggio verbale poiché: “La creazione artistica indica una relazione tra l’uomo e il mondo analoga a quella che l’uomo determina nei rapporti del mondo quando costruisce concetti; anche l’opera d’arte può essere definita, in un certo senso, un’astrazione”.

Di fatto, la condanna del cosiddetto ‘realismo ingenuo’ e l’individuazione da parte di Fiedler del fine dell’arte nella creazione di un mondo autonomo, anticipano in maniera sorprendente le posizioni espresse dai maggiori rappresentanti dell’arte del ‘900, quali Klee, Kandinsky, Matisse e tutti gli apologeti e seguaci del Der Blaue Reiter come delle avanguardie nostrane che hanno definitivamente rotto con il passato e la tradizione per rilanciare l’arte verso il futuro con palinsesti innovativi aperti ad una creatività onnivora e dilagante.

Da queste coordinate di riferimento, che pur datate restano presupposti saldi e indispensabili per orientarsi nel poliedrico e sconfinato campo dell’arte contemporanea, la ricerca di Paolo Gobbi prende le mosse. In particolare fa propri gli assunti teorici sedimentati da Paul Klee nelle Shöpferische Konfession (1919) e riassunti nell’incipit: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile”.

Principi dottrinari che Gobbi restituisce nel lavoro quotidiano, frutto di un allenamento costante e severo in un continuo esercizio fenomenologico del gesto pittorico che mira alla configurazione del visibile scandagliando sempre più dappresso “quel fondo segreto, ove la legge primordiale alimenta ogni processo vivente”. E se Klee dopo anni ha riutilizzato nell’insegnamento al Bauhaus quel materiale didattico, il nostro, nel suo magistero presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, ne continua a sviluppare i nodi problematici con l’umiltà di chi sa che la ricerca non avrà mai fine, anzi s’ingrosserà come un fiume in piena che può anche travolgerlo, ma questo è il destino dei “cercatori di senso” che si avventurano con gli strumenti ermeneutici a loro più congeniali verso l’apertura di nuovi orizzonti.

Non deve dunque sorprendere il passaggio di quest’ultimo decennio affidato a composizioni di griglie e segni ortogonali, inserti grafici che vanno a scuotere la neutra quiete della superficie pittorica spazzando via le tremule presenze filamentose dei lavori precedenti. In realtà l’artista apre alla geometria ma per decostruirne la logica destrutturandola in un errare “erratico”. Ne destabilizza i fondamentali, acquisiti presso l’Istituto d’Arte di Macerata, rivisitandoli attraverso le crepe della “scrittura” e i rilievi delle tracce del “luogo della perdita” di Magdalo Mussio, suo maestro nell’Accademia di Belle Arti maceratese. Insomma ritiene doveroso fare i conti con la radicalità sperimentale e dissacrante della neoavanguardia come il termine a quo da cui ripartire per esaltare la funzione comunicativa dell’arte e far sì, come scriveva Dorfles nel ‘59, “che l’opera d’arte (a bella posta non dico ‘dipinto’ o ‘statua’, perché potrà trattarsi anche di latta, sacco, muro, fil di ferro e quanti altri mai materiali vengano ad essere utilizzati quali nuovi media di una composizione plastico-cromatica) non resti inespressa e inesprimibile, riacquisti la sua semanticità, diventi linguaggio e discorso… non già di concetti razionalizzati… ma per lo meno di immagini, di sentimenti, di embrioni formali” .

E sugli embrioni formali l’artista concentra la ricerca più recente ad alto potenziale dialettico, come se una sorta di garbata ribellione gli imponesse di addomesticare le storiche “linee forza” in linee sinuose ad andamento libero nello spazio, in tracciati a gestazione continua e infinita. Come se dalla logica ortogonale cartesiana, dal principio di identità e dalla sillogistica, dominanti rispettivamente il linguaggio visivo e quello verbale, volesse assicurarsi una via di scampo alla ricerca di nuovi equilibri e nuove connessioni tutte da scoprire.

Per questo lo spazio espositivo diventa lo spazio dell’opera, uno spazio-ambiente in cui autore e fruitore intrecciano i loro destini in un incontro del “terzo tipo” con la genesi del visibile. Un’occasione speciale, già riservata da Calvino ai visitatori delle “Città invisibili”, per mettere in guardia che solo apparentemente disponiamo di strumenti certi di decodifica del reale.

Proprio sullo ‘scarto’ rispetto all’abitudine, su cui si basa il riconoscimento che acquieta ogni angoscia interpretativa, è giocato il percorso tracciato da Paolo Gobbi in “punta d’argento” per questa mostra site specific. Un approccio libero per guadagnare uno spazio di autonomia interiore, di esercizio critico nel rispetto per tutto ciò che è diverso e sfugge alla nostra immediata comprensione.

Con questa ritrovata spontaneità e libertà fuori da ogni schematismo, l’artista si cala in un sentire prelogico, risale alle origini del momento inventivo e accostandosi al respiro del cosmo lascia la mano in balìa di forze che tracciano il segno sulla parete scabra per mappare realtà altrimenti invisibili.

Tracciati appena percepibili che si snodano in sequenze spaziali ritmate nel tempo, che si allungano con lievissime ombre accennando un possibile ‘altrove’, tracciati che per essere captati invocano un environment immersivo nel silenzio pervaso di stupore.

Paola Ballesi

 

 

Paolo Gobbi_Tracciati

Paolo Gobbi è nato a San Severino Marche nel 1959. Si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Macerata, dove insegna dal 1998. Nel decennio precedente ha svolto attività didattica nelle Accademie di Lecce, Milano, Sassari e Urbino. Dalla fine degli anni Ottanta ad oggi ha esposto in mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero. La pittura, nelle sue declinazioni più ampie, costituisce la centralità della ricerca artistica dell’autore: una pittura che non si limita in “citazione anacronistica” del passato ma che accetta il confronto con le istanze sperimentali della contemporaneità. Gobbi pertanto realizza, fino alla metà degli anni 90, lavori costituiti essenzialmente da assemblaggi di materiali di recupero, a loro volta connotati con sovrapposizioni di interventi cromatici. Nel decennio successivo, progetta e attua anche diverse esperienze visive, dove l’agire pittorico viene ampliato dal suo confine bidimensionale per espandersi nello spazio architettonico. Nei lavori realizzati dopo il 2005, anche se vi è un ritorno ai supporti di tela, carta e metallo, prosegue la ricerca “severa e rigorosa” che contraddistingue la fase precedente dove un “elementare alfabeto di immagini estremamente semplificate creano un gioco sapiente tra presenza e assenza”.

Esposizioni personali e collettive (selezione)

1988: Premio Maratti, Camerano (AN) 1989: Premio Marche, Ancona. 1991: Per una nuova astrazione (personale), Galleria Una Arte, Fano (PU).

1992: Paolo Gobbi (personale), Galleria Contemporaneo Arte, Jesi (AN).

1993: Trasparenze (personale), Galleria Bellosguardo, Cagli (PU).

1994: XXXIV Premio Suzzara, Galleria Civica Suzzara. (MN); L’isola di mare e l’isola di

terra (personale), Centro Luigi Di Sarro, Roma.

1995: Venti avventurosi, Galleria Artiscope, Bruxelles. 1996: Fuori quadro (personale), Galleria l’Idioma, Ascoli Piceno; Beelding,Belfort-Brugge(B). 1997: Paolo Gobbi (personale), Galleria La Virgola, Fabriano (AN); Opificio Piceno

(personale), Ripatransone (AP). 1998: Omnia mutantur, Pesaro. 1999: Segmenti d’autore, Galleria Puccini, Ancona; Corpo di guardia, Bazzano (BO).

1999/2000: Contemporanea, Ferentino (FR).

2000: Alle soglie del sacro, Fabriano (AN); Frammenti (personale), Studio Arte Fuori Centro,

Roma.

2001: 2° Biennale del libro d’artista, Cassino (FR).

2002: Godart, Museo Laboratorio, Città Sant’Angelo (PE); Officina Sibilla, Castello della

Rancia, Tolentino (MC).

2003: Sul bianco (personale), Studio Arte Fuori Centro, Roma; Godart, Museo Laboratorio,

Città Sant’Angelo (PE); 3° Biennale del libro d’artista, Cassino (FR). 2004: Infinitivo (personale), Galleria Contemporaneamente arte, Civitanova Marche (MC).

2005: Importexport, Galleria Bazart, Milano – Palazzo Primavera, Terni – Galleria Installart,

Caserta; Passeggiata effimera, area archeologica, Montegrotto Terme (PD); Fluido

Silenzio (personale), Pinacoteca Civica, Macerata; Godart, Museo Laboratorio, Città

Sant’Angelo (PE).

2006: TraCarte, Museo Civico- Fondazione Banca del Monte, Foggia; Godart, Museo

Laboratorio, Città Sant’Angelo; Mail Art Project, Durham (U K).

2007: Godart, Museo Laboratorio, Città Sant’Angelo (PE); 13 X 17, Galleria Berengo Studio,

Venezia-Murano; Infinitivo (personale), Spazio Aldo Bruè, Milano. 2008: La terra ha bisogno degli uomini, Sala Bianca, Reggia di Caserta; TraCarte 2,

FondazioneBanca del Monte, Foggia – Neue Sachsischer Kunstverein, Dresda (D) –

Galeria BWA Design, Breslavia (PL); LVIII Premio “G. B. Salvi”, Sassoferrato (AN). 2009: TraCarte 3, Fondazione Banca del Monte, Foggia; Godart, Museo Laboratorio, Città

Sant’Angelo (PE); Artisti a Palazzo, Palazzo Borromeo, Cesano Maderno (MI).

2010: LX Premio “G. B. Salvi”, Sassoferrato (AN); In Opera, Palazzo Bonaccorsi, Macerata;

2011: Over forty, Studio Arte Fuori Centro, Roma; 54° Biennale di Venezia-Padiglione Italia-

Marche, Mole Vanvitelliana, Ancona.

2012: Arte Fiera Off, Bologna; Premiata Officina Trevana, Palazzo Lucarini Contemporary

Trevi (PG); Imponderabili presenze (personale), Studio Arte Fuori Centro, Roma;

Borderline, Monteciccardo (PU); Carrà-Gobbi, Galleria Contemporaneamente arte,

Civitanova Marche (MC); La casa di Peschi, Museo Villa Colloredo-Mels, Recanati

(MC); A proposito di arte, Galleria Piazza delle erbe, Montecassiano (MC).

2013: Paolo Gobbi (personale), Galleria La Roggia, Pordenone; L’ospite tiranno, Palazzo

Tiranni, Cagli (PU); Libro d’artista, Museo Beit Hai’r, Tel Aviv (Israele); Tratti da Xenia

(personale), Biblioteca Comunale-Ex Carcere, San Severino Marche (MC).

2014: Pietra, arte e fuoco, Ex Monastero Agostiniani, Corinaldo (AN).