16 giugno 2016 Lascia un commento
Gianmaria Orlandi e Angela Todaro_Dalla terra al Cielo. Simbologie del paesaggio
16 giugno 2016 Lascia un commento
La Torre di Babele (Genesi, 11, 1-9). Tutti parlavano la stessa lingua e vollero costruire una torre che arrivasse fino al cielo. Dio vide in questa opera un atto di superbia, così li confuse facendo in modo che parlassero lingue diverse e li disperse su tutta la terra.
La Torre Unipol di via Larga, fotografata da Angela Todaro, si ferma molto prima di toccare il cielo per paura di qualche anatema, ma nello spazio lineare sul limitare della pianura è lì piantata come una lama a provocare. Le fotografie guardano da tutte le angolazioni come per sincerarsi di quello che è avvenuto in un paesaggio semplice fatto di condomini, supermercato e giardini pubblici, la torre è sola, l’unico riferimento similare è un condominio anni settanta, ma è una brutta compagnia. La torre non sembra eretta dalla terra ma piovuta dal cielo, UFO verticale che da un momento all’altro pare possa ripartire, di notte, silenziosamente. Le immagini testimoniano la sua presenza ma anche la sua assenza, skyline alterato come un elettrocardiogramma che ha un sobbalzo improvviso, un colpo, visivo. La luce quasi sempre chiara nell’aria tersa autunnale prova a scaldare le lucide superfici taglienti del totem metallico insieme alle fronde dei pioppi, che si agitano, indifferenti. Le macchine sfrecciano sulla Provinciale, rallentano all’incrocio e ripartono con stridore.
Nessuno più vede queste devozioni al cielo fatte di piccole stele, edicole votive popolari nate per viaggiatori lenti, alle quali essi misuravano e affidavano il proprio destino in cammino. Qualcuno ancora protegge dalle sterpaglie queste presenze verticali e porta qualche fiore, e ci conforta lo sguardo di Gianmaria Orlandi che le ha scovate, mostrate e sottratte all’indifferenza delle mutazioni del paesaggio, dai detriti, dai cartelli, dall’asfalto, dalle villette. Se il sacro è stato allontanato dal nostro mondo contemporaneo, queste stele contadine testimoniano di un mondo semplice che si è fatto complicato e astratto. Sono a ricordare che il nostro cammino ha bisogno di punti di riferimento, di soste per meditare dove stiamo andando, che molte cose che stiamo facendo forse sono vane, che siamo trascinati da un vortice di cose da fare che ci fanno percorrere i nostri spazi senza appartenere a questi spazi, come fuggitivi in cerca di qualcos’altro, e quindi osservare queste tracce erette prima di noi è come riappropriarsi del tempo e fermarlo per il nostro bene.
a cura di Luciano Leonotti
Mădălin Ciucă_Oltre il ritratto
17 marzo 2016 Lascia un commento
Formazione:
2009 Laureato in Pittura – Universitatea de Arte si Design Cluj Napoca (RO)
2007- 2008 Studente Erasmus Accademia di Belle Arti di Macerata (I)
2005 Diplomato al Liceo d’Arte Victor Brauner Piatra Neamt (RO)
Premi:
2010 Primo Classificato, Autoritratto, Galleria Antichi Forni, Macerata
2010 Opera Premiata, InOpera 2010, Palazzo Buonaccorsi, Macerata
2008 Opera Premiata, Premio Artemisia 2008, Mole Vanvitelliana, Ancona
2006 Premio Speciale miglior disegno, Olimpiadi Nazionali di Arte Visive a Storia dell Arte, Timisoara (RO) Primo Premio, Concorso Belle Arti, Giornata Europea, Piatra Neamt (RO)
2005 Primo Premio Europe at School, Competizione Europea con il patrocinio del Parlamento Europeo, Nana Mouskouri Focus on HopeFoundation Bucuresti (RO)
2004 Primo Premio Pittura, Olimpiadi Nazionali delle Arti Visive, Architettura e Storia dell’Arte, Arad, (RO) Primo Premio Diploma Pro Schola, Piatra Neamt (RO) Primo Premio Workshop di Pittura, Scultura e Grafica, Poiana Sarata (RO) 20+Timisoara=Art, Timisoara (RO)
1998 First Prize and Special Prize, Painting National Workshop, Homorod Harghita (RO)
Mostre personali:
2014 Explorium “ spazio per l’uomo” Nuova Comes (Senigalia)
2014 Opere Dipinti Kapitelsaal, Abbey Kloster Gallery Benediktbeuern (Germania)
2012 Chi ha paura dell’uomo nero? La vita a colori, Salone dei duecento Palazzo Vecchio (Firenze)
2012 Un tempo anche gli alberi avevano gli occhi, M&T Expo Terminal Aeroporto (Ancona)
2011 Marta, Michela e un amico, Diversoinverso Foundation, Monterubbiano (Fermo)
2009 Portrete, Mirionima Gallery, Macerata Le Dame, I Cavalli, I Cavalieri e l’Onor Perduto,Palazzo Cima della Scala (Cingoli)
2008 Riprendimi, Abbazia di Rambona, Pollenza (Macerata)
Mostre collettive (selezione):
2013 Marche centro d’arte, Pala Riviera (San Benedetto del Tronto)
2012 Festival Nazionale Degli Studenti Universitari SUM, Spazio Mirionima (Macerata) 25 anni di Erasmus, Macro, Roma
2011 Biennale di Venezia, Padiglione Italia alla 54 Esposizione, Orto dell’Abbondanza, Urbino
2010 Stanze Aperte, Altidona (Fermo)
Visionaria, Sant’Omero (Teramo)
InOpera 2010, Palazzo Buonaccorsi, Macerata
Autoritratto, Antichi Forni, Macerata
Premio Artemisia 2010, Mole Vanvitelliana, Ancona
2009 Declinazioni della figurazione contemporanea,Galleria Artemisia, Falconara Marittima (Ancona)
2008 Appuntamento all’Orto, L’Orto Dei Cappuccini, Morrovalle (Macerata)
Our friends from Macerata, The Borland Gallery, School of Art and Design Salford La terra ha bisogno degli uomini, Reggia di Caserta (Caserta)
Premio Artemisia 2008, Mole Vanvitelliana, Ancona.
2007 Exhibition of students from Fine Arts University, Cluj Napoca (RO)
Dal novembre 2014 fino al giugno 2015 ha insegnato pittura presso Ecate Macerata.
Mădălin Ciucă_Oltre il ritratto
17 marzo 2016 Lascia un commento
a cura di Paola Ballesi
“ Ciò che è nascosto non ci interessa” (Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche )
L’esergo sembra illuminante per comprendere il percorso di ricerca del giovane artista rumeno Mӑdӑlin Ciucӑ, dalla formazione all’Accademia di Belle Arti di Cluj Napoca, perfezionata in Italia presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata che ha accompagnato i suoi esordi nel mondo della pittura e l’ingresso nel sistema dell’arte, fino alla più recente produzione. Le ragioni della sua pittura, infatti possono essere fatte risalire alle concause della rivoluzione scientifica del XVII secolo, basata sul presupposto che bisognasse raschiare la superficie delle cose per cercare il fondamento della realtà oggettiva profonda, immodificabile, indipendente dal soggetto e così raggiungere descrizioni condivise e giudizi universali su cui impiantare le discipline scientifiche. Ne è seguito di rimando che lo studio della superficie, di ciò che appare, è divenuto nel tempo sempre più interessante proprio perché le scienze sono state costrette ad impoverire la descrizione dell’apparenza dei fenomeni pur di poter andare allo scandaglio di principi fondamentali. Di fatto, il prezzo pagato per costruire modelli matematici che giustificano il mondo, dalle scienze naturali all’economia finanche alle scienze dell’uomo, è l’eliminazione della nostra esperienza diretta, l’unica che invece rende ragione di questo mondo variegato, ricco, affascinante.
Dunque, al di là degli indubbi irrinunciabili vantaggi derivati dallo sviluppo delle scienze e dei modelli matematici che rendendo affidabile la realtà hanno contrassegnato le tappe del progresso scientifico, c’è una qualità dell’esperienza soggettiva che in qualche modo deve essere salvaguardata. Di questo delicato compito, a partire dall’ultimo scorcio dell’800, quando diventa virale la crisi di fiducia nelle facoltà dell’intelletto e nelle possibilità del linguaggio razionale di comunicare il reale, si fa carico in particolar modo la ricerca artistica. Dalle arti visive alla musica, la potente carica “fenomenologica” insita nelle arti che vantano una precipua, stretta relazione tra io e mondo, diventa il dispositivo più idoneo per indagare l’universo cangiante delle apparenze che schiudono nuovi possibili scenari e con essi nuovi significati.
Su questa lunghezza d’onda trova la sua spontanea fonte di ispirazione la pittura di Mӑdӑlin Ciuca, da sempre concentrato sul tema del ritratto che gli consente, confrontandosi con i grandi artisti del passato, di cavalcare le superfici, moltiplicare le luci e le ombre attraverso lo spettro delle tonalità percettive con cui inquadra e contemporaneamente disgrega tanto il profilo di un volto quanto quello di una montagna. Ritratti costruiti imbastendo pazientemente le molteplici caleidoscopiche versioni dell’apparire allo sguardo, vibratili di emozioni e di incroci sapientemente catturati dal pennello con tocchi densi e pesanti, o leggeri e impalpabili come quelli suggeriti dalle trasparenze delle sottili velature. In questo modo, pennellata dopo pennellata, gesto dopo gesto, l’artista compone l’immagine che comincia ad acquistare fisionomia man mano che si libera dalla forma statica dell’oggetto ‘ritratto’ per diventare fenomeno intenzionato da una coscienza e dunque qualcosa di essenziale perché, sostiene Sartre, “l’apparenza non nasconde l’essenza, la rivela: è l’essenza”.
Le pennellate accompagnano e assecondano impercettibili ritmi di sistole e diastole precisi ed armonici che certificano come l’artista abbia gradualmente liberato e guadagnato alla vita esseri altrimenti ancora prigionieri dell’hic et nunc dello scatto fotografico, grazie al suo sguardo penetrante restituito dalla potenza del gesto creativo tanto più forte e seduttivo quanto più guidato dal sapere della tecnica e dalla nonchalance della sprezzatura. Tecnica, talento, creatività sono qualità indispensabili per declinare un’arte che si offre nel suo artificio come natura, una naturalezza che può essere conseguita e raggiunta solo attraverso la fatica e lo studio, che perciò si trova alla fine e non all’inizio di un percorso di ricerca attento sia alla contemporaneità che alla storia.
In questa mostra il canovaccio per la messa in scena dell’apparire è il bianco e nero con tutta la gamma dei grigi, i toni e i contrasti sapientemente dosati dall’artista per presentare il motivo del ritratto rivisitato con la sensibilità del Lebenswelt, il mondo della vita o delle validità pre-logiche che contrariamente all’oggettività scientifica mostrano le cose come sono nella loro essenza. A questo mondo appartengono i soggetti rappresentati che Mӑdӑlin ci fa vedere. Volti umani ora trattati come rocce scistose, volumi scabri e petrosi resi con pennellate forti e drammatiche che portano ad una intensa accentuazione espressiva, ora vibratili di emozioni ma più composti e classicheggianti. E allo stesso modo vedute aeree di paesaggi, catene di montagne dell’Appennino marchigiano dipinte come corpi vivi ed ansanti adagiati in vaste pianure con le sommità immerse in cieli grigi screziati, profondi e gonfi di nubi.
Così lo spazio della tela travalica verso gli spazi immensi dell’arte dove la gradualità dei toni e i forti contrasti giocano una partita senza esclusione di colpi mentre la luce dei bianchi a volte spiazza e a volte intenerisce le ombre in un equilibrio armonico che non può e non deve essere sconvolto. Infatti, proprio l’incommensurabilità degli “infiniti spazi” diventa la misura per l’accettazione e la consapevolezza del limite che scardina la hybris del possesso e del potere mettendo uomo e natura sullo stesso piano. Accomunati e sublimati con identica scioltezza tecnica nella poesia dei portrait, uomo e natura vanno incontro al loro incalcolabile destino scandito da millenarie increspature di onde gravitazionali che si propagano all’infinito intrecciate ad impercettibili refoli di sintesi spirituali fatte di storie, miti e leggende di Sibille, Amalassunte, Angeli Ribelli… Antiche lontanissime eco che rimandano all’immensità degli spazi siderali e dell’immaginazione.
Nino Migliori_Zooforo immaginato_presentazione libro
12 gennaio 2016 Lascia un commento
Venerdì 15 gennaio 2016, alle 17 nell’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna in via Belle Arti 54, sarà presentato il libro fotografico di Nino Migliori Zooforo immaginato, a cura di Roberto Maggiori e Piero Orlandi, pubblicato dall’Associazione Spazio Lavì! (Editrice Quinlan). Le foto di Migliori, che ritraggono alcune sculture eseguite da Benedetto Antelami (ca. 1150-1230) per il Battistero di Parma (dal 1196), magnifico edificio a pianta ottagonale, tra i più significativi monumenti gotici europei, sono state scattate a lume di candela, per riprodurre l’atmosfera in cui erano visibili all’epoca della loro realizzazione.
Nino Migliori (Bologna, 1926) è uno dei più importanti fotografi italiani. Attivo fin dal 1948,ha contribuito in modo preminente alla evoluzione della fotografia da attività professionale a forma d’arte universalmente riconosciuta. Tra le sue mostre recenti è da ricordare l’antologica svoltasi nel 2013 a Palazzo Fava a Bologna. Le sue opere sono presenti nelle maggiori collezioni pubbliche e private a livello internazionale.
Intervengono Eleonora Frattarolo, Piero Orlandi, il direttore dell’Accademia di Belle Arti
Enrico Fornaroli. Con la presenza dell’Autore.